Intervenire e
indignarsi solo quando ad essere danneggiato è un bene realizzato
dall'attuale giunta ci sembra un abile esercizio di doppiopesismo.
Martedì scorso, sul lungomare del Poetto, sono apparse diverse scritte
sulle panchine e sui muri dei baretti. I cittadini si sono mobilitati
per denunciare l'accaduto e identificare il responsabile. Ieri il
sindaco si è congratulato con loro, definendo il colpevole “un incivile e
nemico del Poetto”.
Condividiamo le parole di condanna, e siamo felici di sapere che il
responsabile ha rimediato al suo gesto sconsiderato, cancellando le
scritte. Spiace però notare che in tante altre occasioni la condanna non
è stata così sollecita e veemente; anzi, non c'è stata proprio.
Non una parola per le centinaia di scritte che ricoprono i muri di
Cagliari: interi quartieri, forse più periferici ma ugualmente
meritevoli dello stesso decoro, dove il panorama urbano è composto da
una distesa di graffiti di ogni genere. Il nuovo Poetto è un gioiellino
da tutelare, mentre il resto della città si può deturpare impunemente?
Non una parola quando ignoti, la notte di San Silvestro del 2014,
devastarono il Bastione: lastre di marmo divelte e frantumate, lampioni
fatti a pezzi, panchine danneggiate, rifiuti e cocci di bottiglia
ovunque, una cabina telefonica distrutta, le scritte dei writer su muri e
pavimenti.
Non una parola quando lo scorso 11 febbraio la
protesta del Coordinamento Antifascista Cagliaritano contro Salvini
bloccò mezza città provocando disordini, fra cui un lancio di uova con
vernice, le cariche della polizia, i lacrimogeni e un bancomat
danneggiato.
Non una parola stamattina, quando gli abitanti di
Genneruxi si sono svegliati e hanno visto 25 delle loro automobili
devastate dai vandali nel corso della notte.
Tutti fatti ben più
gravi di una scritta su una panchina, ai quali è seguito il silenzio,
fulgido esempio di indignazione a corrente alternata.
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